Punto 1 ...e i nostri piedi?

E i nostri piedi, con le loro belle scarpe riescono a raccontarci delle storie?
Se osserviamo bene…forse sì.

Punto 2 L'abito fa il monaco?

L’abito fa ancora il monaco? E la scarpa?
Certo oggi la forma è molto importante. Vi sono occasioni e ricorrenze nella nostra vita più o meno quotidiana che ci richiedono la scarpa giusta…ma in un sabato qualsiasi cosa indossiamo per dedicarci al passeggio pomeridiano?

Punto 10 E' questa la prova!


È questa la prova! La prova che dalla mummia del ghiacciaio del Similàun a Carrie Bradshaw della serie televisiva “Sex & the City” non è cambiato proprio nulla. Non puoi permetterti a Manathann di andare al “Plaza” senza un paio di scarpe all’ultima moda, così come non potevi permetterti di andare a trascorrere un week-end in montagna al Similàun in Alto Adige senza stivali griffati!

Punto 9...una speranza..


Forse una speranza c’è! Una prova! Il ritrovamento sul ghiacciaio del Similàun, in Alto Adige, dei resti mummificati di un uomo che le analisi al C-14 hanno fatto risalire al 3.300 a.C. ci indica che al momento del ritrovamento egli indossava i resti di una sorta di gambali imbottiti  di fieno con la suola in pelle d'orso e la tomaia fatta da strisce in pelle di capra e cervo e rinforzate da cordicelle d'erba. Decisamente un bellissimo stivale degno di un grande stilista dell’epoca!

Punto 8 ...I primi dubbi...


Ma quando realmente l’essere umano ha cominciato ad indossare un qualche tipo di calzatura per proteggere il piede e tenerlo al caldo? Chissà se l'uomo di Neanderthal abbia costruito scarpe con pelli non conciate, con suole di fibre vegetali intrecciate ed assicurate da antesignane stringhe? Probabilmente sì, lo ha fatto. Ma ciò nonostante, nonostante l’uomo primitivo non amava andare ai cocktail senza le scarpe adatte all’occasione e prediligeva costruirsi calzature per ogni anche futile occasione e le caverne ormai non erano più spaziose a sufficienza per contenerle tutte, a noi oggi di tutte quelle paia non è rimasto niente! Niente per capire la moda e le tendenze di allora, quali erano gli stilisti e le griffe più in voga, qual era insomma il Manolo Blahnik del momento! Già, quei modelli non hanno resistito alle ingiurie del tempo e si sono decomposti senza lasciare traccia…o quasi.

Punto 7 Gli artisti

Al MIC con le loro creazioni, sono presenti i più celebri desiner internazionali e nazionali: Christian Dior, Roger Vivier, Karl Lagerfeld, Charles Jourdan, Manolo Blahnik, Andrea Pfister, Salvatore Ferravamo, Gucci, Emilio Pucci, Armando Pollini, Ernesto Esposito e molti altri.

Sono 1800 le paia di scarpe e tutte rigorosamente esposte in teche di vetro come tanti pesciolini colorati. Una sezione permanente ed alcune temporanee frutto di collezioni private e donazioni che trovano spazio in undici sale. Non vi è un vero e proprio percorso ma una suddivisione che raggruppa i grandi desiner, le calzature etniche e rurali dal mondo, le realizzazioni dei grandi artigiani, quelle appartenute ai personaggi famosi e la camera delle meraviglie, che propone modelli e suggestioni curiose…vedere per credere!

Punto 6 L'artefice


A volerlo, l’intellettuale storico e artista vigevanese Luigi Barni che nel secondo dopoguerra ebbe per primo l’intuizione di riunire le principali testimonianze della cultura e della storia cittadina in un’istituzione museale che ne conservasse e perpetuasse la memoria. Nel 1958 la donazione della collezione privata di calzature da parte di Andrea e Benedetto Bertolini a nome del padre Pietro sancì l’apertura del Museo della Calzatura oggi MIC.

Punto 5 ...un pò di tempo fa...


“…allora vi era la lavorazione dei cappelli e dei cascami. In campagna si coltivava riso e grano come adesso. Padron Bisio fu il primo a mettere su una fabbrica di scarpe. Monsignor Dal Pozzo dalle braccia lunghe, le proverbiali braccia da monsignore, che come remi di barcé affondavano nelle capaci casse delle banche, quando vide che la gente tiene più a ripararsi i piedi che la testa, mandò a picco la fabbrica di cappelli e incoraggiò i diletti suoi compaesani a darsi alle scarpe. In un momento in corti e strade spuntarono e laboratori e artigianati e fabbriche di scarpe, e Vigevano diventò nel giro di pochi anni la terza capitale d’Italia, la capitale della scarpa…”.

Tratto da “Il calzolaio di Vigevano” di Lucio Mastronardi, questo brano può dare l’esempio di come una cittadina che scalpitava e fremeva già dalla fine del XIX secolo (a Vigevano sono nati il primo calzaturificio a modello industriale nel 1866, la prima fabbrica italiana di macchine per calzature nel 1901 e le prime scarpe da tennis in gomma nel ’29), arriva a produrre negli anni tra il 1950 ed il 1960 quasi 2 milioni di paia di scarpe al mese. Senza ombra di dubbio infatti gli anni d’oro della città sono stati quelli coincidenti con il boom economico italiano di quel periodo. Il rumore di sottofondo di Vigevano è uno solo, meccanico o manuale che sia. È in questo contesto che nasce il museo della calzatura, quello che oggi porta il nome di MIC.

Punto 4 Il luogo

Il principale monumento cittadino è stato infatti negli ultimi anni oggetto di un considerevole impegno di recupero da parte del Comune, della Regione Lombardia, del Ministero delle Finanze e quello dei Beni Culturali. Un recupero per il momento ancora parziale, ma che permette al centro lomellino immerso nel parco del Ticino, di evidenziarsi sempre più come un importante luogo di arte e cultura.



Punto 3 Il museo


Il MIC, ovvero Museo Internazionale della Calzatura Pietro Bertolini di cui vado a raccontare si trova a Vigevano, nei locali soprastanti la suggestiva Prima Scuderia del Castello Sforzesco, oggi sicuramente cuore culturale della città assieme alla famosa Piazza Ducale.